sabato 25 ottobre 2008

Il bianco delle mutande stirate

Autore: Alessio Giovannini

Sandro aveva appena finito di stirare l’ultimo paio di mutande. Era una cosa apparentemente inutile. Ma che lui faceva da sempre con orgoglio. Diceva che gli piaceva molto la sensazione di quando se le infilava così belle stese, inamidate e profumate di fresco. Anche se poi sarebbe durato solo un attimo, era per lui un piacere praticamente irrinunciabile. Era stata sua madre - ormai barricata in un letto nella stanza di là - che l’aveva abituato a certe finezze tanto care anche a suo padre. Un uomo con la faccia da impiegato e la schiena da pescatore che nemmeno la domenica avrebbe mai messo una camicia col colletto lindo della festa. Ma le mutande stirate, quelle sì. E come! Al punto che Sandro la prima volta che lo vide in giacca e cravatta fu proprio quando ormai lui aveva già chiuso gli occhi su questo mondo, portando via con sé il vestito comodo della sua anima semplice. Era già lunedì, anche se ormai al figlio di quell’uomo tutti giorni sembravano una banale somma di ore. La pensione l’aveva rimesso a una vita piena di tempo da riempire. Sandro adesso era tutto per lui, ma se lo facevi bere un po’ partiva subito con degli strani discorsi sul bene, sul male e sul mondo che non c’è più. Era stato pure sposato una volta, solo che una settimana era bastata a quella donna per capire che forse dentro il cassetto della sua vita ci dovevano essere più sogni e meno mutande stirate. Lui non se l’era presa troppo. O almeno non lo aveva fatto vedere. Del resto, sul comodino della stanza degli ospiti, conservava ancora la loro bomboniera di nozze. Un cestino d’argento lucidato e su cui, nonostante gli anni, non voleva che cadesse mai nemmeno un fiocco di polvere. Su quello accanto al letto della sua camera, invece, teneva da sempre un libro con la copertina marrone come quella di certi vecchi messali su cui qualcuno gli aveva scritto sopra qualcosa a penna. Uscendo di casa, quel pomeriggio, inciampò sullo zerbino all’ingresso del condominio. Era ora di cambiarlo quel vecchio cencio tutto sfilacciato che quando pioveva si impregnava di fanghiglia e puntualmente sporcava le sue belle scarpe bianche da ginnastica. Quelle con cui, ogni giorno, andava in bicicletta sul lungomare corto corto della sua città, dove la corsa del mare diventava presto una saliva di sale sugli scogli. Uno di quei posti dove d’inverno si fanno rari incontri. Eppure…“Hai visto che bello?” Un ragazzino con le palle degli occhi a forma di ciliegia si era fermato come lui a guardare il mare freddo di fine ottobre e con lui aveva voluto condividere il suo attimo di meraviglia. Sandro non avrebbe voluto prestargli troppa attenzione, ma la sua educazione gli aveva imposto di rispondergli con un sorriso. Finché non ci si mise pure uno sbuffo di vento a spettinargli il riporto, trasformando i suoi capelli in una cresta scompigliata da spaventapasseri. “Avresti bisogno di un cappello!” Gli fece il ragazzino sghignazzando. A dire il vero, un po’ da ridere gli veniva pure a lui, ma il suo passato di vigile urbano lo aveva abituato a non scomporsi mai più di troppo. Forse per dare il buon esempio. Ma a cosa sarebbe servito in questo caso? Il ragazzino con gli occhi a forma di ciliegia, infatti, se ne era già andato più in giù dove la spiaggia non era fatta di sabbia e c’erano sassi piatti più facili da lanciare contro i piccoli muri d’acqua delle onde. Sandro, invece, era rimasto lì. Al suo posto. A guardare. Come faceva sempre da quando aveva l’età di quel bambino. Anche se mille volte avrebbe voluto mettersi a tirare pietre e ad urlare, quella divisa da vigile in fondo Sandro non se l’era mai tolta. Lui che il traffico non l’aveva mai diretto, se non per interrompere il corteo di qualche funerale o di qualche processione. Lui che, in tutta la sua carriera sprofondata in un paese di nemmeno mille anime, si era fatto bastare un unico blocchetto di multe con tanti fogli bianchi e stirati come le sue mutande. Lui che adesso se ne stava già tornando a casa, perché per sua madre era già ora di cena e le sarebbe dispiaciuto farla aspettare. Come tutte le sere Sandro era di nuovo tra le sue quattro mura, con il cucchiaio al posto del cucchiaio e il bicchiere dell’acqua accanto a quello del vino. Tutto questo per consumare un pasto misto e dello stesso sapore. Il tempo di sparecchiare e rimettere nel suo cassetto quella tovaglia bianca e perfettamente stirata ed era già di nuovo nella sua stanza. Pronto per un’altra notte senza sonno in attesa dell’alba. Al suo fianco quel libro con la copertina marrone. Con quella maledetta frase: “Prendi: questo libro ti cambierà la vita” Era stata proprio la donna che aveva portato all’altare a lasciarglielo lì. Prima di andarsene per sempre. Sandro, come ogni sera da quel giorno, non faceva altro che aprirlo e stringere tra le mani quel mucchio di pagine bianche e stirate. Un vero muro di silenzio. Su cui in tanto tempo non era mai riuscito a scrivere. Nemmeno una parola.

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