sabato 25 ottobre 2008

Racconto di Antonella Dipaolo

Per un periodo della mia vita riuscii a prendere il treno quattro weekend consecutivi:roma-fabriano, fabriano-roma.
Mi continuavo a ripetere che lo facevo perché così andavo a trovare i miei genitori, rivedevo i miei amici, mi riposavo.
Ma la verità è che non sapevo perché lo facessi.
Era automatico, o almeno mi riusciva istintivo pensare che ogni weekend sarei scappata via dalla frenesia del quotidiano per ricercare la pace nel verde.
Ma non so se questo riuscì pienamente a soddisfare i miei perché fino a quando presi coraggio da un libro che mi prestarono una volta e cercai di dare un senso a questi viaggi.
Il librò lo trovai proprio all’inizio di questa ossessione per il treno.
Pioveva quel giorno e per non dare ascolto alla mia amica non presi l’ombrello.
A Roma quando piove non è pioggerella e a parte gli ambulanti che ti offrono pseudo-ombrelli (perché alla seconda goccia stai sicuro che si rompono) l’unico riparo pronto ad accogliermi alla fermata di Torre Argentina fu una tenda rossa di un negozietto al primo angolo della strada.
Accucciata sotto,con la paura che all’università sarei arrivata oltre che in ritardo anche bagnata, volsi le spalle alla vetrina di quella curiosa vetrina che mi stava ospitando clandestinamente.
Era una libreria.
Piccola, anzi piccolissima, ma la voglia di non beccarmi una grandinata sulla testa, mi spinse ad entrare.
“Buona giorno, anzi buona sera, mi scusi.”
“Prego.”
Non so dirlo se lo dissi più per educazione o come permesso per entrare , perché a parte un ombra scura, ricurva sopra un libro accanto a uno scaffale stracarico di libri, non sembrava proprio un negozio.
Mi accorsi subito della somiglianza con la mia stanza:se l’unica differenza fosse che al posto dei vestiti c’erano centinaia di libri, la loro disposizione era la stessa.
Per terra, sopra il tavolo e persino sopra delle sedie, uno sopra l’altro, in pile infinite,c’erano migliaia di libri. Addirittura per terra segnavano
un percorso obbligatorio, in cui non potevi improvvisare delle scappatelle.
Gothe, Tolstoy, S.Agostino, Verga, Manzoni, nomi che mi ricordavano qualcosa, ma niente come Federico Moccia, Alessandro Baricco.
Quindi la mia prima curiosità si spinse sul fatto se si trattasse realmente di una libreria o di una biblioteca.
Era da un pò che gironzolavo, con lo sguardo perso a cercare altri autori che mi potessero ricordare qualcosa, e con unica domanda che mi continuava a picchiarmi intesta:
“Ma da quando tempo non entra qualcuno qua dentro?”
Erano vecchi, forse sudici, mi accorsi di uno che pendeva dall’ultimo piano dello scaffale con la copertina completamente strappata:
“Ma chi avrebbe mai comprato questi libri?”.
Ad un tratto mi accorsi che fuori aveva smesso di piovere, forse anche da un pò, ma quel mondo di libri me ne aveva fatto proprio dimenticare.
Ripresi il piccolo sentiero all’indietro attenta a non calpestare “Cime tempestose “e posai la mano sulla maniglia della porta ringraziando, quando senti parlare quell’ombra che tutto il tempo era rimasta in silenzio assorta nel suo libro:
“Hai trovato quello che cercavi?”
“Mi dispiace, ma non cercavo nulla in particolare, grazie lo stesso.”
Non feci in tempo a voltarmi.
“Forse non hai cercato bene.”
Presa dall’imbarazzo cercai una scusa, la prima che mi venne in mente:
“Si in verità cercavo una lettura leggera, ma ho notato che qui di piccoli romanzi non ne avete, casomai lo dirò alla mia amica di questo negozietto: lei ama i bei romanzi di una volta
“Ma perché dici i bei romanzi di una volta?non pensi che tra questi libri ce ne sia uno anche per te? “
Non capivo se ero infastidita all’idea che non mi facesse più uscire da quella porta o il fatto che mi facesse tutte quelle domande sui dei vecchissimi libri che nessuno avrebbe mai più letto.
“Non penso ci sia un libro adatto a una singola persona, tanto meno uno adatto solo a me.”
“Prendi: questo librò ti cambierà la vita.”
Aveva la copertina di un rosso sbiadito, nel retro anche una macchia opaca, forse qualche millennio fa c’era caduto sopra qualcosa.
Lo aprì e con la mano sfogliai velocemente.
Notai che le pagine erano giallastre e anche molto spesse.
Forse non dovute al tempo, più che altro alla scelta della carta delle pagine, che aveva gli angoli sfilacciati come se non fossero stati tagliati a macchina, ma strappati.
“Non posso accettarlo, mi dispiace.
Non pensavo di fare shopping perché sto andando all’università, e non mi sono portata dietro i soldi”
“Ma non glielo sto vedendo, e neanche regalando:lo leggi e poi me lo riporti.
“Ma non ha neanche un titolo,di cosa parla?
“Questo me lo dirà lei quando me lo riporterà.”
Quella sera ritornata dall’università e da danza, non avevo voglia di andare al cinema con le mie amiche e rimasi a casa.
Accesi la tv, come al solito non trovai niente che catturò la mia attenzione e appena spinsi il pulsantino rosso mi ricordai del libro.
Lo lessi tutto quella sera.
La mattina seguente mi alzi e decisi che quel weekend sarei ritornata a casa.
Lo continuai a fare per tutto il mese senza trovare un motivo.
Andata e ritorno.
Solo dopo il quarto mese mi accorsi di un ragazzo che avevo già incontrato sul treno, ogni volta nell’ultimo mese.
Così, quella quarta volta, mi presentai, con un leggero rossore nelle guance, imbarazzata dal mio stesso gesto.
Domani ci sposeremo, dopo un anno e mezzo di fidanzamento e io non so se devo ringraziare quell’ombra scura che mi consigliò quel libro o quelle pagine stesse.
Che c’era scritto su quelle pagine?
Uno di quei bei romanzi di una volta.

Nessun commento: