sabato 25 ottobre 2008

Racconto di Monia Orazi

La luce rossastra che filtrava da dietro la persiana, la svegliò. Erano da poco passate le sette, e sul pavimento della camera, vedeva sottilissime linee d'ombra.

Lia era distesa, si scosse un po' dal torpore pomeridiano e si stropicciò gli occhi. Si tirò su piano piano, si mise a sedere sul letto. Allungò le braccia verso l'alto, tirò indietro il collo, lo stirò come una gatta, si passò le mani tra i lunghi capelli, sistemandoli dietro le spalle.

Era ora di andare. Davide l'aspettava per cena, ed una leggera ansia l'assalì prima di prepararsi. Raggiungere Trastevere in tram, dover affrontare una lunga tavolata di volti sconosciuti.....”Chissà come andrà?”, disse a voce alta.

Alla Trattoria “Da Gino” era già stata tante volte. Tovaglie con grandi scacchi bianchi e blu, bicchieri di vetro liscio, pieni di vino rosso, nell'aria un leggero aroma di soffritto che ti penetrava sottile nelle narici, lì si sentiva a casa. Solo che stasera il suo Davide, le presentava per la prima volta gli amici e lei si sentiva come alla vigilia di un esame importante. “Cosa mi metto?”, si chiese. Rovistò nell'armadio. Venne subito fuori quel paio di jeans neri che le stavano così bene. Ci abbinò una camicia bianca, tirò fuori il giubbetto di pelle nera. Le scarpe con il tacco quelle no, meglio le ballerine di vernice per affrontare l'acciottolato di sampietrini. Erano ormai le sette e venti. Si passò il gloss sulle labbra, una spazzolata ai lunghi capelli, un filo di ombretto castagna per far risaltare gli occhi nocciola. Si sorrise, guardandosi allo specchio.

Lentissimamente si avviò alla fermata, aspettava il 77. Guardò la vecchia signora seduta, infagottata in un cappotto color cammello, il foulard fantasia verde petrolio, un sacchetto scuro nella mano destra, l'aria rassegnata. “Non voglio diventare così – si disse – ma cosa vado pensando, manca ancora un sacco di tempo, ho solo 28 anni”.

Si immaginò le scene della cena, e bottiglie che passavano di mano in mano, i brindisi, le risate, gli schiamazzi, gli scherzi, la bella allegria di una comitiva di ragazzi. “Ce la farò - concluse – andrà bene, piacerò ai suoi amici”. Teneva molto a Davide, e voleva fare una buona impressione.

Lo sferragliare del tram interruppe i suoi pensieri. Si mise in fondo e chiuse gli occhi, aveva venti minuti per rilassarsi. Si vide fare una passeggiata, nel suo giubbotto nero, con l'ombra lunga sul selciato della strada, camminare per le strette vie. Trastevere era uno di quei luoghi del cuore in cui andava sempre volentieri, la parte di Roma che preferiva, un paese, dentro la città.

Le piaceva molto il vecchio palazzo dei conti Accoramboni, disabitato da decenni. Si fermava sotto il grande portone in legno, a guardare i fregi sopra le finestre. Piccoli putti, con le faccine smorfiose, si intrecciavano al fogliame e agli uccelli. Dietro gli scuri chiusi, immaginava lunghe sale polverose, con le pareti coperte di arazzi, lampadari di cristallo, grandi specchi dalla cornice dorata. Un mondo magnifico, ormai in rovina.

A due passi dal palazzo, girato l'angolo, c'era la libreria di sor Erminio. Tutto era rimasto come 40 anni fa. Grandi scaffali di legno chiaro, pieni zeppi di libri. In fondo il grande bancone in rovere. Potevi trovarci di tutto. Prime edizioni in folio, polverosi libri in pelle, titoli sconosciuti, volumetti ingialliti. Un bazar della lettura, nel cuore di Roma.

Entrava volentieri e passava ore spensierate. Erminio ne aveva vista tanta di gente, e aveva sempre aneddoti da raccontare. Si ricordò della prima volta che lo aveva conosciuto, dieci anni fa, in un afoso pomeriggio d'estate. Aveva il gelato in mano, e cercava un po' d'ombra. Svoltato l'angolo di via Giacinti, aveva visto l'antico palazzo dei conti. Qualche metro più in là la libreria.

Erminio aveva l'aria burbera, i capelli brizzolati, la fronte alta. Quello che l'aveva subito colpita erano i grandi occhi scuri, che ti si stampavano in faccia appena ne incontravi lo sguardo, magnetici. “Posso esserle utile signorì?”, le chiese. “Cerco un libro da leggere al mare”, rispose visto che il giorno dopo sarebbe partita per le vacanze. “Prendi: questo libro ti cambierà la vita”. Guardò il titolo e rise forte. “Alice nel paese delle Meraviglie”, di Lewis Carroll. “Cosa me ne faccio? Ho 18 anni, non mi servono le favole”. “Nun te sbaglià signorì – rispose sor Erminio col suo vocione – anche se cresci nun perde mai l'immaginazione che cianno i monelli. Sarà la tua ricchezza più granne”.

Acquistò il libro e lo portò con sé. Iniziò così la sua avventura. Le bastava chiudere gli occhi, per poter creare tutti i mondi che voleva, riempiendo pagine bianche con le sue avventure.

Lia Frassoldati, a 28 anni aveva già pubblicato sei libri ed era una delle finaliste, al premio Strega di quell'anno. All'improvviso sentì uno scossone, lo stridore di freni, sbattè la testa contro il vetro, aprì gli occhi, guardò fuori. C'era Davide ad aspettarla. Sorrise e pensò alla bella serata che l'aspettava.

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