Racconti di Cristiano Micucci
Se un precario è considerato il piano terra della gerarchia lavorativa, io dovrei trovarmi pressappoco un paio di metri sotto il livello degli scantinati: dovrebbero esserci le fogne a quella profondità. Galleggio infatti in quella ribollente melma in forma di disoccupato con profilo dichiaratamente invendibile nel bazar dell’occupazione; sono una merce rimasta invenduta in magazzino. Magari qualcuno mi ha anche cercato, mi ha richiesto: “Ha mica uno di quei disoccupati sfigati, magari con laurea in filosofia? Capito di che modello parlo? Quelli che fanno tanta tenerezza… E’ per mia nipote…”.
“Signora, se mi dà un attimo controllo: fosse rimasto un fondo di magazzino... ma non credo, sa”.
E invece io ci sono in quel magazzino polveroso, ma sono nell’angolo più lontano, guarda caso dove s’è fulminata la lampadina. Nascosto da un laureato sfigato in scienze politiche, notoriamente più voluminoso.
Quando si posiziona idealmente il proprio ego a metà strada tra una fogna puzzolente ed un magazzino pieno di muffa, si prendono decisioni che possono apparire discutibili ai benpensanti, i quali comunque farebbero bene a pensare agli affari propri senza mettersi a commentare i comportamenti altrui, in particolare quelli del sottoscritto. A dirla tutta la decisione che ho preso appare discutibile persino a me – non per questo sono un benpensante, sia chiaro -, anzi, più che discutibile direi tragica: fare un corso per diventare venditore a domicilio di enciclopedie. Catastrofica, meglio ancora.
La trafila è dannatamene facile: dalla lettura dell’annuncio sul giornale al ritrovarmi davanti Paolo, questa specie di alieno antropomorfo in gessato e basette calcolate al micron che pare sarà il mio insegnante, passano meno di ventiquattr’ore. Se la giustizia funzionasse con tale velocità saremmo tutti in galera. La rapidità è essenziale: il precipitare degli eventi rimane a livello subliminale, non si ha il tempo di mettere a fuoco, di vedere che ti hanno messo una pala in mano e stai scavando per scoprire cosa c’è al di sotto delle fogne. E che hai pagato per scavare.
Il corso segue la stessa folle dinamica. Fulmineo, senza fiato. Poche lezioni di molte ore in pochi giorni. Deve averlo ideato Kubrik, prima di ‘Arancia meccanica’, per poi autoispirarsi in vista del film. A fine corso non dubito di aver perso metà del mio quoziente intellettivo: non so di quale enciclopedia dovrò vendere i volumi, che peraltro non ho mai visto, non so come farlo, o ancor peggio perché, chi dovrebbero essere i miei clienti, quanto costa quanto mi pagano quando mi pagano… mi pagano?!
Qualcosa però è rimasto. Dio mio: dell’intero corso mi resta incisa in profondità nei neuroni una ed una sola frase, anzi no, la frase. Il motto, lo slogan, la parola sacra della maligna divinità che generò un universo suddiviso in volumi tomi appendici e aggiornamenti. E decise di farlo vendere porta a porta. Mi suona talmente familiare da sentire mia madre che la pronuncia mentre ancora sono nella culla; sono le prima parole che ho pronunciato, quelle che per la prima volta ho scritto e quelle con cui ho imbrattato la parete del gabinetto del liceo, è il titolo della mia tesi. L’imperativo morale che oscura persino quello di Kant. Logos puro. “Prendi: questo libro ti cambierà la vita”. E’ il verbo che devo diffondere, spinto dalla fede.
Mi ritrovo apostolo di enciclopedie, con in più la mia firma su un contratto come venditore che neanche Satana avrebbe saputo redigere. Credo ci sia scritto che per tre vite dovrò fare questo mestiere: senza promozioni, poi si vedrà.
La domenica la passo in stato catatonico, probabilmente è l’effetto collaterale delle droghe che mi hanno iniettato durante il corso. Visioni di creature libriformi si alternano al viso di Paolo, l’insegnate profeta che mi ha trasmesso la parola.
Lunedì mattina esco di casa e senza mettere in moto il lato razionale del mio cervello mi faccio guidare da un istinto, un’ispirazione che viene dall’alto. Un faro mi guida.
Prendo un autobus a caso, scendo e di nuovo un altro autobus a caso. La città è grande, non so più dove sono, ma una luce metafisica mi guida. Scendo e cammino per una buona mezz’ora tra edifici che non riconosco. D’improvviso mi blocco: un numero civico. 42. Vado al portone e lo trovo aperto. E’ la Via. Entro e m’infilo nell’ascensore, poi all’ultimo piano scendo e mi faccio un paio di rampe di scale in discesa. Un corridoio lungo con molte porte. Cammino lentamente. Ne passo tre, quattro, poi mi blocco. Ci sono.
Non c’è cognome sul campanello. Suono. Un leggero tremore alla mano: l’emozione del portare la parola. Il Verbo sta per prorompere dal mio petto, la gola quasi esplode cercando di trattenere un grido che sarà cibo per le menti. Sento i passi dietro la porta, poi la porta che inizia ad aprirsi, un’ombra, una forma. Non riesco più a trattenermi e finalmente pronuncio la Parola: “Prendi: questo libro ti cambierà la vita”.
“Non compriamo niente”.
E’ Paolo, l’insegnante del corso.
Che lavoro di merda.
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3 commenti:
Cinico, tondo e...amaro quanto basta...penso ci si possano ritrovare in molti tra queste righe...BUON VENTO! ;-)
la muffa è una delle poche forme viventi rimaste inalterate in questo mondo CORROTTO!e a me piace la muffa........
Bello, forte r terribilmente triste:BRAVO
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